Nella cappella è collocata l’ancona lignea originariamente probabile antependio dell’altare della attigua cappella di S. Nicolò, opera del cosiddetto Maestro dei padiglioni (Foto 1).
L’analisi dello stile, le caratterizzazioni dei personaggi e degli ambienti fanno ritenere l’opera realizzata tra il 1370-80.
Foto 1
Sono rappresentati l’Incoronazione della Vergine (Foto 2) e otto scene con miracoli post mortem di San Nicola (Foto 3, 4, 5)
Foto 2
Foto 3
Foto 4
Foto 5
Nell’incoronazione della Vergine e nelle storie di S. Nicolò sopravvive il messaggio di Vitale, e si avverte la conoscenza da parte dell’autore della pittura veneziana. E’ evidente un richiamo alla miniatura, su cui forse si è formato il pittore, per gli effetti calligrafici e l’interesse per la quotidianità, il costume, le architetture.
A sinistra quattro scene della vita di San Nicola, dall’alto in senso orario: S. Nicolò salva un cavaliere caduto da cavallo in un burrone, S. Nicolò guarisce un bambino, S. Nicolò salva un moribondo, S. Nicolò mette in salvo i pescatori e fa sì che il delfino, assalitore della barca, si quieti.
A destra altri quattro riquadri con rispettive scene con miracoli del Santo: San Nicolò salva un malato invocato dai frati, S. Nicolò guarisce un bambino in fasce che è accompagnato dalla madre all’altare, S. Nicolò calma la tempesta pregato dai frati, S. Nicolò salva un neonato raccomandato dalla madre a letto.
INCORONAZIONE DELLA VERGINE E STORIE DI SAN NICOLA
AUTORE
Collaboratore di Vitale da Bologna
DATA
1350-1352 ca.
TECNICA, MISURE
Tempera grassa su tavola, 0.90 x 2.34
COLLOCAZIONE
Udine, Museo del Duomo, cappella del Corpo di Cristo, parete est
PROVENIENZA
Udine, Museo del Duomo, cappella di San Nicola
RESTAURI
1970-1971, Gianpaolo Rampini
La tavola, che raffigura, al centro, l’Incoronazione della Vergine affiancata da otto miracoli di San Nicola, ora collocata nella cappella del Corpo di Cristo della Cattedrale di Udine, è stata realizzata per l’adiacente cappella di San Nicola. Tale cappella, come è noto, apparteneva alla Fraterna dei Fabbri intitolata, quest’ultima, proprio al Santo di Myra, che commissionò a Vitale da Bologna e alla sua bottega tra il 1348 e il 1349 la decorazione pittorica delle pareti, conservatasi solo in parte. L’impianto iconografico era in origine più complesso ed accanto all’imponente San Nicola della parete est e alle storie post mortem del Santo sulla parete sud, altri miracoli, probabilmente in vita di San Nicola, dovevano decorare la parete nord (abbattuta nel Settecento per creare la cappella Masolina; quella attuale è frutto di una ricostruzione degli anni Cinquanta del Novecento) forse riecheggiati negli affreschi della chiesa di San Nicolò a Vuezzis in Carnia (Benati 2000, p. 702). La tavola si inseriva nell’arredo della cappella, faceva parte dell’altare, e le Storie di San Nicola raffigurate, completerebbero il programma figurativo dedicato al santo titolare con le scene mancanti (De Marchi, 2004, s.p.), seguendo forse i disegni dello stesso maestro bolognese.
L’opera è stata inizialmente attribuita al “Maestro dei padiglioni” da Luigi Coletti (1933, pp. 211-228) ed avvicinata agli affreschi della cappella maggiore del Duomo di Spilimbergo; per Coletti si tratterebbe dello stesso autore, che ritiene uno stretto aiuto di Vitale. Il soprannome di questo maestro deriva dalla ripetuta presenza del motivo iconografico del ‘padiglione’, tendaggio a strisce di pelliccia che compare nella tavola dell’Incoronazione di Udine, nella stessa scena affrescata nella cappella maggiore del Duomo di Spilimbergo e nell’affresco, oggi perduto, con il medesimo soggetto iconografico dell’Incoronazione della Vergine nel Duomo di Venzone. Coletti interpreta le scene raffigurate nella tavola udinese come miracoli del Beato Bertrando non trovando però puntuali riscontri negli Acta Sanctorum e riconducendoli a “miracoli vivi nella tradizione popolare”. Data inoltre la tavola al 1355 circa. L’opera è ricondotta anche da Cesare Gnudi (1962, p. 47) ad un aiuto di Vitale che avrebbe realizzato, allo stesso tempo, alcune figure di Sante nelle fasce decorative della cappella di San Nicola. Rodolfo Pallucchini (1964, pp. 99-100) attribuisce la tavola ad un pittore locale “formatosi nel settimo decennio, ed operoso verso il 1370, che non solo s’ispira agli affreschi di Vitale, ma che ormai conosce la pittura contemporanea bolognese e veneziana”. Non accoglie la proposta di Coletti di identificare l’autore dell’Incoronazione con il maestro che decora il presbiterio del Duomo di Spilimbergo perché denota in quest’ultimo “una maggiore padronanza dei mezzi espressivi” ed è “così ben caratterizzato per la scioltezza di racconto popolare e cavalleresco assieme” tanto da essere una “personalità diversa dal cosiddetto Maestro dei padiglioni”. Carlo Someda De Marco (1970, p. 390) descrive la tavola come ancora presente nella cappella di San Nicola, collocazione che l’opera mantiene fino all’introduzione dell’odierno allestimento, considerandola “probabile parte di un grande altare dedicato a San Nicolò” e riprendendo Coletti la attribuisce al Maestro dei padiglioni che avrebbe realizzato, secondo lo studioso, anche le tavole raffiguranti Bertrando in preghiera, l’Uccisione di Bertrando e Bertrando distribuisce pane ai poveri. Identifica inoltre così gli otto miracoli di San Nicola: “San Nicolò salva un cavaliere, caduto col cavallo in un burrone; San Nicolò salva i pescatori, rendendo mansueto il delfino che aveva assalito la loro imbarcazione; San Nicolò guarisce un bambino, raccomandato dalla madre; San Nicolò salva dalla morte un moribondo, raccomandato da un frate e dai familiari; San Nicolò sana un ammalato a letto, raccomandato dai frati; San Nicolò guarisce un neonato, raccomandato dalla madre a letto; San Nicolò guarisce un bimbo, presentato dalla madre innanzi un altare durante la Messa; San Nicolò invocato da due frati salva un vascello alla deriva nella tempesta”. Fulvio Zuliani (1971, p. 31), assegna la tavola al ‘primo aiuto di Vitale a Udine’ e la avvicina agli affreschi della chiesa di Santa Maria in Vineis a Strassoldo (tanto da identificare l’autore in uno degli aiuti del Maestro di Strassoldo) e richiamando Pallucchini propone una datazione verso l’ottavo decennio del Trecento. Concorda per una datazione verso il 1370 anche Aldo Rizzi (1975, p. 69) riconoscendo nello lo sconosciuto maestro “un narratore arguto e spiritoso, interessato al frammento di vita quotidiana, alla notazione di costume, alle trame architettoniche”, ed avvicinando l’opera agli affreschi della chiesa di S. Giacomo a Venzone. A riprendere l’attribuzione di Coletti, che identificava l’autore della tavola con l’artista che realizza gli affreschi della cappella maggiore del Duomo di Spilimbergo, è Maria Walcher (1980, pp. 33-47). La studiosa anticipando la proposta di datazione per le pitture di Spilimbergo entro il 1358 ed assegnandole a Cristoforo da Bologna, sostiene che “il maestro dei padiglioni, il maestro di Spilimbergo, il Cristoforo longhiano, altri non sarebbero dunque che un’unica persona: uno dei più vicini collaboratori di Vitale”. Data la tavola dell’Incoronazione attorno al 1350, definendola contemporanea o quasi agli affreschi realizzati da Vitale e dalla sua bottega nel cantiere udinese. Ad una datazione attorno al 1350 è concorde anche la critica successiva: Serena Skerl Del Conte (1987, p. 12; 1995, p. 225) attribuisce la tavola al ‘primo aiuto di Vitale’ e la mette in stretta relazione con l’affresco raffigurante San Martino che dona il mantello al povero della cappella destra del Duomo di Venzone, individuando un’identità di mano; Paolo Casadio (1990, p. 68; 2003, p. 52; 2009, pp. 387, 390) la riferisce a disegni dello stesso Vitale da Bologna e di stretta ‘vicinanza’ con gli affreschi udinesi dello stesso artista, realizzata da “uno stretto seguace del Maestro bolognese, per l’altare della cappella”. Fulvio Zuliani (1996, pp. 32, 34) rivedendo la sua precedente datazione, la considera opera di un aiuto di Vitale che ha eseguito “fra l’altro le graziose sante del sottarco d’ingresso” ed eseguita “a ridosso degli affreschi della cappella di San Nicolò”. Andrea De Marchi (2004, s. p.; 2009, pp. 37-38) attribuisce la tavola ad “uno stretto seguace friulano di Vitale da Bologna, attivo anche nel duomo di Spilimbergo, dove copiò le composizioni lasciate da Vitale negli affreschi della tribuna del duomo udinese” e propone una datazione “assai prossima al 1352, nonché sulla traccia di disegni lasciati probabilmente dallo stesso Maestro bolognese, nell’ambito di un progetto organico di arredo della cappella che non poteva mancare”.
La tavola è stata oggetto di studio anche per quanto riguarda gli arredi che sono raffigurati con minuzia di dettaglio così come l’abbigliamento dei personaggi. Maurizio Grattoni d’Arcano (1996, p. 92) si sofferma in particolar modo ad analizzare la camera cubicularis, ovvero la camera da letto che nella tavola presenta alcune varianti per quanto riguarda il mobile principale di tale ambiente: il letto. Quest’ultimo, all’epoca, era composto dalla lectica lignea sopra la quale si adagiava il lectus, ovvero un primo materasso, si sovrapponevano poi i plumacii (le lenzuola), il cussinus (cuscino cilindrico ) i cussinelli (piccoli cuscini di forma rettangolare), la cultra decorata spesso a colori vivaci. Grattoni pone in evidenza la lectica a ricciolo (ovvero con testiera alta, curva in avanti e montanti terminanti in volute) tipica dell’Italia settentrionale, presente nel miracolo della guarigione dei due fanciulli, nel quale si nota anche il piccolo sgabello posizionatovi davanti per permettere un agevole accesso ai piccoli fruitori. Di interesse inoltre la cultra
a strisce gialle ed azzurro grigie nella scena della guarigione di un bambino in seguito all’invocazione della madre; tale tipologia di coltre da letto è spesso citata negli inventari: “a bindis zali et blavi coloris”.
Maria Beatrice Bertone (2008, p. 144) ha analizzato l’abbigliamento delle figure di Cristo e della Vergine; quest’ultima indossa una camora di seta rosa con maniche molto aderenti listate d’oro e con una fitta serie di bottoni, al di sopra porta un mantello di colore blu con motivo a racemi dorati.
Sono raffigurati strumenti musicali: un liuto a plettro (metà del secolo XIV) e una “violeta” del medesimo periodo.
BIBLIOGRAFIA: L. Coletti, Il Maestro dei Padiglioni, in “Miscellanea in onore di I. B. Supino”, 1933, pp. 211-228; C. Gnudi, Pittura bolognese del ‘300. Vitale da Bologna, Milano 1962; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Roma 1964; C. Someda De Marco, Il Duomo di Udine, Udine 1970; F. Zuliani, Lineamenti della pittura trecentesca in Friuli in 1° Convegno internazionale di storici dell’arte sul tema “La pittura trecentesca in Friuli e i rapporti con la cultura figurativa delle regioni confinanti” (Udine, 19-22 maggio 1970), Udine 1971; A. Rizzi, Profilo di Storia dell’Arte in Friuli. Dalla Preistoria al Gotico, I, Maniago 1975; M. Walcher Gli affreschi del Duomo di Spilimbergo e il problema di Cristoforo da Bologna, in “Arte in Friuli. Arte a Trieste”, 4 (1980), pp. 33-47; S. Skerl Del Conte, Nuove proposte per l’attività di Vitale da Bologna e della sua bottega in Friuli, in “Arte Veneta”, XLI (1987), pp. 9-19; P. Casadio, C. Gnudi, Itinerari di Vitale da Bologna. Affreschi a Udine e a Pomposa, Cento 1990; S. Skerl Del Conte, Aggiornamenti su Vitale da Bologna e i suoi seguaci in Friuli, in Gotika v Sloveniji, Ljubljana 1995, pp. 213-226; M. Grattoni d’Arcano, Gli arredi nella dimora friulana nel tardo Medioevo, in In domo habitationis. L’arredo in Friuli nel tardo Medioevo a cura di G. Fiaccadori, M. Grattoni d’Arcano, Venezia 1996, pp. 91-109; F. Zuliani, La pittura del Trecento in Friuli, in In domo habitationis. L’arredo in Friuli nel tardo Medioevo a cura di G. Fiaccadori, M. Grattoni d’Arcano, Venezia 1996, pp. 27-37; D. Benati, s.v. Vitale da Bologna, in Enciclopedia dell’arte medievale, Roma 2000, pp. 699-704; P. Casadio, L’attività udinese di Vitale da Bologna, in Artisti in viaggio 1300-1450. Presenze foreste in Friuli Venezia Giulia a cura di M. P. Frattolin, Udine 2003, pp. 33-53; A. De Marchi, L’arca dei Santi Ermagora e Fortunato e la cassa del Beato Bertrando, in L’arca del Beato Bertrando a cura di L. Laureati, Udine 2004, s.p.; M. B. Bertone, Abbigliamento, tessuti e ricami in Friuli (secoli XIII-XV), in Splendori del gotico nel patriarcato di Aquileia, a cura di M. Buora, Udine 2008, pp. 132-149; P. Casadio, Il cantiere di Vitale da Bologna (1348-1349) e la pittura friulana, in Arte in Friuli. Dalle origini all’età patriarcale, a cura di P. Pastres, I, Udine 2009, pp. 377-395; A. De Marchi, La pala d’altare. Dal paliotto al polittico gotico, Firenze 2009.